Tarquinia

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La storia

La città di Tarquinia (Tarquinii in latino e Tarch(u)na in etrusco, derivante da quello del mitico Tarconte[2]) fu uno dei più antichi ed importanti insediamenti della dodecapoli etrusca[3]. In rapporto con Roma fin da epoca molto antica, diede a questa città la dinastia dei re Etruschi[4] (Tarquinio Prisco,[4] Servio Tullio e Tarquinio il Superbo) che svolse un ruolo di primaria importanza nella storia della città latina (fine del VII e VI secolo a.C.).
Tarquinia entrò più volte in guerra con Roma e da questa fu infine sottomessa dopo la battaglia di Sentino, nel 295 a.C. Da allora Tarquinia fece parte dei territori romani nella regio VII Etruria. Sul suo litorale si sviluppò la colonia marittima di Gravisca, che fino alla fondazione di Centumcellae (oggi Civitavecchia) da parte dell'imperatore Traiano nel II secolo dopo Cristo, rappresentò il principale porto dell'Etruria meridionale, abbandonato in seguito alle scorrerie dei pirati saraceni in epoca altomedievale.
Nel V secolo passò sotto il regno romano-gotico di Teodorico. Nella prima metà del VI secolo si trovò coinvolta nella guerra gotica e nella seconda metà del secolo entrò a far parte del longobardo ducato di Tuscia. Nella seconda metà dell'VIII secolo fu prima acquisita ai domini carolingi e poi donata al pontefice come parte del neo-costituito Stato della Chiesa.
Probabilmente già a partire dal VI secolo si ebbe l'iniziale graduale spopolamento dell'abitato etrusco-romano, che andò accentuandosi in età medievale, per poi completarsi nel tardo medioevo, quando la città antica si era ridotta a poco più di un castello fortificato. Le cause vanno rintracciate nelle devastazioni compiute dagli invasori germanici prima e nelle incursioni dei Saraceni poi, che oltre a decimare la popolazione causarono una progressiva involuzione economica del territorio.
A partire dall'VIII secolo d.C., su di un colle[5] contiguo alla città antica, ma in vista del mare, è attestata la presenza di una rocca detta Corgnetum o Cornietum. Tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, nei documenti troviamo nominato un Corgitus (dal 1004) o Torre di Corgnitu (dal 939). Da questo piccolo primo nucleo si svilupperà, nei secoli XI e XII, il centro medievale di Corneto.
Nel 1144 Corneto divenne libero comune italiano stipulando patti commerciali con Genova (nel 1177) e con Pisa (nel 1177). Nel XIII secolo resistette validamente all'assedio dell'imperatore Federico II. In questo periodo il territorio cornetano fu uno dei maggiori produttori ed esportatori di frumento in Italia. Inoltre, in seguito alla distruzione di Centumcellae da parte dei pirati barbareschi, a partire dal IX secolo riprese vita e importanza l'antico porto, abbandonato secoli prima, che diviene uno scalo di collegamento fra l'entroterra umbrolaziale e il Mediterraneo.
In questo contesto si inquadra lo scontro nel XIII e XIV secolo fra Corneto e città maggiori, come Viterbo e Roma, che intendevano imporre il loro dominio approfittando della debolezza del potere pontificio, specie durante la cattività avignonese. Corneto si oppose anche alle mire della Chiesa, ma la città fu infine ridotta all'obbedienza dal cardinale Egidio Albornoz (1355) e da quel momento, anche se con brevi interruzioni, rimase stabilmente allo Stato Pontificio condividendone le vicende.
Nel 1435 papa Eugenio IV elevò Corneto al rango di civitas e di sede vescovile, come premio ai meriti del Cardinal Vitelleschi, nativo di Corneto, nel ristabilire il dominio papale sullo Stato della Chiesa.
Da documenti rinvenuti nell'Archivio Storico del Comune di Tarquinia si hanno notizie della presenza di albanesi a partire dal 1458, quando papa Pio II, il 17 settembre, scrive al “diletto figlio nobil uomo conte di Pitigliano” Aldobrandino II che un “certo uomo albanese nella recente estate trascorsa ha incendiato nel territorio cornetano una gran quantità di frumento e poi di aver trovato rifugio, con la fuga, nel tuo castello dove tuttora si trova.”[6]
Nel 1484 andarono ad abitare a Corneto molte famiglie albanesi,[7] per lo più soldati (stradioti) a cui si aggiunsero via via altre famiglie albanesi per sottrarsi alla oppressione ottomana.[8]
Il 5 ottobre 1592[9], Flaminio Delfino, colonnello dell'esercito Pontificio, arrivò a Corneto per ristabilire la società dei militi lancieri del capitano Elia Caputio albanese. Sempre nella stessa data del 5 ottobre del 1592, venne inviato un ordine scritto al colonnello Delfino, relativo alla dislocazione delle truppe pontificie nello Stato della Chiesa. Tra queste dislocazioni compare la Compagnia di Albanesi del Capitano Michele Papada (Papadà) alla quale venne ordinato di andare a prestare servizio nel territorio di Ancona, nelle marine e, quando necessitava, anche in quello di Jesi, per sette scudi al mese.[10]
In una lettera datata 19 novembre della 1592 inviata dalla comunità di Corneto a Teophilo Scauri, Procuratore di Roma, si evince la venuta di una compagnia di soldati albanesi a cavallo del Capitano Elia Caputio i quali, dal momento che erano arrivati, avevano cominciato a mancare di rispetto, cosicché la comunità chiese un provvedimento per farli allontanare, altrimenti potevano nascere notevoli disordini. Inoltre gli albanesi volevano che la comunità li provvedesse di 40 rubbi d’orzo, il che non era possibile perché a Corneto non si trovava orzo. Non si accontentavano del fieno che gli dava la comunità, tanto che ne rubavano nei magazzini, non tralasciando quant'altro vi trovavano.[11]
Gli albanesi di Corneto vennero incorporati nel tessuto sociale. Dal catasto urbano del 1798 risulta un agglomerato di abitazioni nel terziere di San Martino come "contrada di Zinghereria", noto in precedenza come il Terziere del Poggio, che viene tuttora riconosciuto con l’appellativo di "Zinghereria".[8][12]
Nel 1854 la diocesi di Corneto fu unita aeque principaliter alla diocesi di Civitavecchia. Nel 1986 le diocesi furono pienamente unite nella diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.
In seguito alla costruzione del nuovo porto di Civitavecchia, erede dell'antica Centumcellae, con fortificazioni progettate da architetti del calibro di Michelangelo Buonarroti e Antonio da Sangallo, nel XV secolo Corneto perse nuovamente e definitivamente la sua funzione di porto dell'alto Lazio, il che determinò una progressiva decadenza economica e demografica del territorio, interessato sempre più dalla malaria a causa delle paludi costiere.
Nel periodo precedente la seconda guerra mondiale divenne sede della scuola di paracadutismo. Fu inoltre interessata da un massiccio programma di bonifiche da parte del regime fascista, seguito dalla riforma agraria del 1950: i due provvedimenti contribuirono al rilancio del settore agricolo e a un effimero sviluppo industriale collegato, attirando un'ingente immigrazione interna soprattutto dalle Marche.
A partire dagli anni 60 del XX secolo poi, con la costruzione lungo la costa di Lido di Tarquinia e di Marina Velca, si è sviluppato anche un discreto turismo balneare.
La storia di Tarquinia, considerata la città madre dell’Etruria, si identifica con quella del Popolo etrusco. L’atto stesso della sua fondazione effettuata dal mitico Tarconte (Tarchna) fu reso sacro dalla prodigiosa apparizione del vecchio-fanciullo Tagete nato dalle zolle di Tarquinia.
E Tarquinia nel contesto delle dodici città etrusche sempre ha goduto di un primato e di un prestigio che altre non avevano. Sebbene la presenza umana sul territorio abbia lasciato tracce nella più profonda preistoria, è nel IX secolo a.C. che sull’area della Civita si riuniscono le genti di diversi villaggi della zona dando vita a quella complessa aggregazione sociale che oggi chiamiamo la città. Ne rimangono a testimonianza le ricche necropoli villanoviane e i resti dei villaggi che le originarono. Nell’VIII e nel VII sec. a.C. Tarquinia è divenuta ormai una città ricca e potente e trasforma la sua economia. Pur mantenendo sempre una dimensione agricola diviene un attivo centro commerciale e industriale (metalli, grezzi, bronzi, ceramiche). La sua supremazia politica si estende per un vasto territorio che arriva fino ai Monti Cimini e al lago di Bolsena. Nel VI secolo mentre sempre più attivi sono i traffici con l’Oriente e la Grecia testimoniati dall'attivo porto di Gravisca, domina il guado sul Tevere, punto focale di transito del commercio dell’Italia centrale e fa di Roma la grande Roma dei Tarquini (616 - 509 a.C.). In seguito i membri della famiglia Spurinna (Larth, Velthur, Aulus) tentano di imporre la propria guida nella lega etrusca contro l’espansionismo romano. Ma ormai la potenza di Roma non è più contrastabile e la guerra tra le due città divampa violenta con episodi di estrema ferocia già dal 394 a.C. coinvolgendo anche le altre città etrusche. La lunga guerra dal 358 al 351 a.C. si conclude con un armistizio di quaranta anni. Nel 281 a.C. Tarquinia deve sottomettersi definitivamente a Roma.
Sul pianoro calcareo della Civita (150 ettari) restano oggi poche ma significative testimonianze. Oltre ai tratti della lunga cinta di mura (8 km) in blocchi di macco (V sec. a.C., ben visibile a Nord dalla Porta Romanelli), e porzioni di scavi archeologici più o meno recenti, il monumento principale è il tempio dell’Ara della Regina il più grande d’Etruria e da qui provengono i famosi Cavalli alati in terracotta custoditi nel museo (III sec. a.C.) che sono anche l’emblema di Tarquinia. La grande peculiarità della Tarquinia etrusca sono comunque le numerose tombe dipinte rinvenute soprattutto nella necropoli di Monterozzi dichiarate recentemente dall'Unesco Patrimonio Comune dell'Umanità.L'antichissima e primigenia città etrusca di Tarquinia, meta obbligata per tutti i turisti in viaggio nell'Etruria meridionale, sorge su un suggestivo colle in una splendida posizione panoramica con vista sul Mar Tirreno. La sua ammaliante storia copre oltre 3000 anni e fa della città etrusca di tarquinia un luogo di grandissimo valore culturale ed un sito archeologico di fama mondiale.
Con le numerose guide turistiche della Tuscia, abilitate e specializzate, messe a disposizione da Tesori d’Etruria, potrete visitare la splendida necropoli di Monterozzi, la più importante necropoli etrusca del Mediterraneo e Patrimonio dell'Umanità.
La necropoli di Tarquinia presenta una serie straordinaria di tombe dipinte definite dal famoso archeologo ed etruscologo Pallottino “il primo capitolo della storia della pittura italiana”.
La collina dei Monterozzi, lunga circa sei chilometri e sede della principale necropoli cittadina, si estende parallelamente alla costa tirrenica, tra questa e la spettacolare altura della Civita dove sorgeva la famosa città etrusca di Tarquinia. 
L’uso di decorare con pitture parietali i sepolcri delle più importanti famiglie aristocratiche è documentato anche in numerosi altri centri dell’Etruria antica, ma solamente a Tarquinia il fenomeno assume dimensioni così ampie, importanti e prolungate nel tempo: esso è infatti attestato dal VII al II sec. avanti Cristo, cioè per quasi tutta la durata della vita della città etrusca.
Nel settore della necropoli etrusca attualmente aperto al pubblico è possibile ammirare alcuni degli ipogei etruschi affrescati più famosi. Le pitture degli affreschi etruschi tendono a ricostruire intorno alla figura del defunto scene che si riferiscono alla sua vita quotidiana, come per sottolineare, riflettendo una credenza comune a tutti i popoli antichi, la continuità della vita oltre la morte.
Fra le numerose tombe dipinte di Tarquinia, sono attualmente visitabili, tra le altre, le Tombe del Cacciatore, dei Giocolieri, della Pulcella, Cardarelli, della Fustigazione, Fiore di Loto, delle Leonesse, dei Gorgoneion, dei Caronti, dei Leopardi, delle Baccanti, e la tomba della Caccia e della Pesca.

Chiesa di San Francesco

Chiesa della Santissima Annunziata

Chiesa di San Giacomo

Chiesa di San Giovanni

Chiesa di San Martino

Chiesa di San Pancrazio

Chiesa di Santa Maria di Valverde

Chiesa di Santa Maria in Castello

Concattedrale di Santa Margherita

Tombe Etrusche

Museo nazionale Etrusco